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Volare non è il mio forte, non lo è mai stato e, a questo punto, penso non lo sarà mai. L'occasione però è ghiotta e Londra è sempre stata una meta nei miei sogni di modesto viaggiatore alla quale difficilmente avrei rinunciato. La proposta di raggiungerla in treno fa storcere parecchi nasi... tranne il mio ovviamente! Un po' per il costo, un po' per il tempo e un po' per la “follia” di un viaggio d'altri tempi che mi vede un solitario estimatore in un mondo portato all'eccesso di velocità. Comunque si vola per l'undicesima volta con il consueto preambolo di mal di stomaco e fatalismo portato all'estremo. Ammetto che rinunciare totalmente a volare restringe parecchio gli orizzonti di un turista del ventunesimo secolo, quindi ancora una volta stacco i piedi da terra con questo strano oggetto che galleggia in aria, eredità di due fratelli curiosi ma molto ingeniosi. La metropoli vista dall'alto ha il fascino di una scacchiera nella quale non riesco a muovere i pezzi; pezzi che per fama e notorietà mi sono famigliari e che fanno nascere in me la stessa curiosità di un libro ricco di immagini, pensando dentro di me “un giorno verrò... e potrò finalmente toccarti con le mie mani!”. L'atterraggio è morbido, ma devo aspettare di calpestare la terra d'Albione per un battito cardiaco regolare. Il tube ci porta a Marble Arch lasciando indietro distanze che sembravano infinite in un tempo relativamente breve. La disputa per la stanza singola fa vincere la regina, così prendo possesso della doppia con l'amico filosofo; il cesso ricavato per miracolo nel modesto alloggio non mi fa impazzire di gioia, ma il militare spirito d'adattamento rende lo stesso il soggiorno piacevole. Ancora una volta nell'underground, che diventerà il nostro miglior compagno di viaggio, per la passeggiata a Piccadilly, Leicester e Trafalgar. L'atmosfera e l'idioma sono quelli della scalinata di Trinità dei Monti; tutto calcolato, siamo a Londra, non a Gaborone! Una defatigante pinta di nera irlandase in un pub che da fuori sembra un negozio di fiori, internamente ornato da foto di giovani immortalati con la pelle come un vestito, in solitarie e piacevoli pratiche manuali che possono allarmare menti provinciali. Un uomo in minigonna e collant che piscia nell'orinatoio a muro scuotono un po' il compagno viaggiatore... come dargli torto? Andiamo e notiamo un beneaugurante “love and respect” sulla vetrata. Il parlamento e il Big Ben ci portano sul Tamigi in un clima torrido e umido che conosciamo molto bene. Un panorama già visto, immortalato in film, quadri, libri, foto e quant'altro riproduca immagini come un dejà vù in questo sempre più piccolo villaggio globale. Westminster si presenta con i battenti chiusi, gli orari sono inglesi! Molliamo e ripartimo per la Torre e il Ponte. Ormai è tardi e conviene rincasare in attesa degli ultimi due londinesi da poco partiti dalla madre patria. Dopo i rituali convenevoli andiamo alla volta della fiera di maggio che ci accoglie lussuosamente in un questa variegata realtà sociale e culturale che è la capitale del Regno. Un paio di “ultime” a stomaco vuoto, le cucine di Sua Maestà chiudono alla buon ora, ma gli stomaci del Presidente reclamano cibo a tutte le ore. Per cui vaghiamo tra ristoranti etnici dai prezzi insostenibili fino a “Soho Pizza”. S'era detto che non avremmo mai mangiato italiano all'estero... Caffettino e tutti a nanna tra accese diatribe sul senso della monarchia. Una soleggiata mattina ci accoglie benevola. Per comiciare bene la nostra seconda giornata londinese niente di meglio che una postcard un po' datata della Royal Family. Una visita alternativa al consueto standard da turista “tagliano” aspetta me e l'amico regista. Insieme alla ciurma però, ci portiamo a Cable Street per ammirarne il famoso murales. Qualche foto poi ripartiamo in direzione del discusso complesso di Canary Wharf. Qui ci separiamo destianzione Deptford. Linea di confine tra la zona 2 e la zona 3, è un quartiere povero abitato prevalentemente da caraibici, con case basse dove la vita scorre lenta. I negozi offrono mercanzia umile, il pescivendolo ha dipinto il palazzo di blu. Qualche scatto per la casa di Mary e dell'avvocato. La scuola diventa la centrale di polizia. E' ora di pranzo ma il Centurion dal bel veliero non serve da mangiare. L'oste ci indirizza verso il baker. Un panino e un caffè. Il mio inglese da queste parti non è poi così male. Una pinta al pub verde e siamo ancora sulla metropolitana. L'altra faccia della medaglia è Belgravia. Il lusso sfrenato contro la modestia del quartiere del Mago. Tutta una tirata, poi come una strana coppia ad Hyde Park in discussioni che coinvolgono gli aspetti della vita di due attori senza una parte. C'è chi si beve Londra e chi arriva presto, monta la polemica. Passiamo davanti ad Ike e ci sediamo in una taverna dove un'avvocatesca ciccia ci serve. Io la chiudo qui. Tento di prendere sonno tra il wrestling e “Mezziogiorno e mezzo di fuoco”. Qualcosa non va per il verso giusto, ma non è una novità; qualche pastiglietta e un sonno ristoratore mi rimettono in carreggiata come se nulla fosse successo. Il pastore porta le pecorelle al mercato di Portobello road il giorno seguente, tra la selva di Invicta arriviamo al termine, nuovamente nel tube per giungere in stazione. Pomeriggio oxfordiano, a pranzo con Harry Potter e ad un matrimonio con una rediviva regina madre. Tornati in città scattiamo una foto in una delle tante dylandoghiane Craven Road, chiaramente davanti al numero sette questa volta nelle vesti di un albergo. Rientriamo prendendo la strada di un quartiere arabo dove il narghillè è un rito. Una disperata ricerca di ristoro tra il fantasma di Calvi e i Frati Neri si rivela vana. “Spaghetti House” diventa (purtroppo) un'ancora di salvezza per londinesi affamati della (qui) tarda ora. A Piccadilly il classico rasta si avvicina con “Marijanamafrend?”; si va poi per Soho con ragazze in risciò che ti fanno sognare un upskirt. Concludiamo con un pub trasformato per l'occasione in una balera da poca spesa, qualche pinta poi a letto. Sunday morning alla National Gallery in un tripudio di martìri di San Sebastiano e di San Michele con spada e corazza. E' ormai il momento dell'arrivederci tra mani incrociate e superstizioni che poco si conciliano con un certo materialismo. Tortino di birra con carne al pub e un salto al 221b di Baker Street. Passo accelerato per mollare il venale amico che vive in strada diretti a casa di Sherlock Holmes. Una sosta al vicino Beatles Store che propone memorabilia da seimila sterline, e al concorrente Elvis Store con il negoziante dalla capigliatura (parrucca?) improponibile. Amena passeggiata per Hyde Park passando per la Royal Albert Hall, la statua di Peter Pan, il lago e speacker's corner diventato centro dell'integralismo islamico in una moltitudine di chador e vestaglioni neri. Il lunedì si presenta con l'impegnativa trasferta a Stonehenge, circolo di pietre eretto cinquemila anni fa, carico di leggende e magiche atmosfere, molto più piccolo di quanto immaginassi. Tappa alla vicina Salisbury e alla sua bellissima cattedrale. Serata jazz indietro nel tempo al Club 100 di Oxford Street, tra Minnie e pantaloni degni di una serata di gala a bordo del Titanic. Il mattino seguente l'amico filosofo ci aspetta nella zona est dell'Highgate Cemetery per sole due sterline più una per le foto. Chissà cosa direbbe se lo sapesse... Finalmente si aprono le porte di Westminster, due triangoli per pranzo mentre faccio la fila per entrare non sono esattamente il meglio dalla vita! L'abbazia conserva i resti di cinquemila grandi d'Inghilterra, ma il percorso forzato e transennato tra centinaia di turisti con guida al seguito, rendono l'atmosfera più sofferta e la visita meno piacevole. Andiamo poi nel dedalo dell'Imperial War Museum dove l'aria condizionata fa rabbrividire. Una realistica ricostruzione di una trincea e l'experience di un bombardamento le gardalandiane attrattive del museo. Chi torna in centro e chi visita la mostra di Dalì. La ressa a Leicester per l'arrivo dei protagonisti alla prima di Tomb Rider. Cerchiamo di dribblare la folla passando di fianco a chi, sulle braccia, non ha più posto per farsi delle pere. La difficoltosa trattativa per l'acquisto della bandiera dell'Irlanda del Nord con chi ancora non sa esattamente dove si trova. La folle ricerca di “The Ringer” e l'opera bignamizzata di Winston Churchill. Serata alla discochiesa dai ritmi insostenebili e l'hooligan che dispensa sigarette per i venti pence che gli consentono di ritornare a casa. Diamo l'addio alla capitale con un folkloristico cambio della guardia per una monarchia che non ha più ragione di esistere. Il bobby che con una splendida pronuncia grida “Everybody get off! This is a public monument”, ci fa sloggiare dai reali spalti che ci erevamo conquistati. Visita alle due Tate (donate to Tate) saltando i preraffaelliti in favore di “Rocky” che si fa una sega ingurgitando della salsa. Ormai è finita. Recuperiamo i bagagli, e con l'underground torniamo all'aeroporto.Good Bye London!I'll come back.